Home » Approfondimenti One Piece » Wano, alcune citazioni e riferimenti

Wano, alcune citazioni e riferimenti

del pirata Jack Vero Treno

Salve a tutti e bentrovati su One Piece Mania con la rubrica “L’angolo delle citazioni”.

L’ultima volta ci siamo lasciati con l’approfondimento sulla figura del primogenito della famiglia Charlotte, Charlotte Perospero.

Ora, per quanto ci sia ancora tanto da dire sui membri della famiglia di Linlin e più in generale dei pirati di Big Mom, essendosi Whole Cake Island oramai conclusa da un po’, ci concentreremo su personaggi conosciuti più recentemente, ossia i pirati del Signore delle Bestie.

In questo appuntamento cercheremo di analizzare le idee di riferimento alla base della gerarchia dei pirati di Kaido, facendo anche qualche cenno al modo in cui l’autore ha deciso di portare avanti la narrazione della saga corrente.

Kaido, il signore degli ubriachi

Kaido innanzitutto è un personaggio a tratti fortemente caricaturale, per via del suo abuso di alcool; curioso tra l’altro è il fatto che i suoi sottoposti abbiano dato dei nomi alle sue sbronze, proprio in base a come queste ultime influiscono sul comportamento dell’Imperatore, rendendolo talvolta più aggressivo, talvolta portandolo ad avere forti crisi depressive.

E non è un caso il fatto che il personaggio abbia tali caratteristiche, essendo lo Yokai a cui esso è ispirato, ossia l’oni Shuten Doji, o come veniva chiamato in gioventù Kaido/Kaidomaru, conosciuto oltre che per la forza sorprendente,  per la capacità di assumere quantità di alcool fuori dall’ordinario.

D’altra parte lo stesso nome “Shuten Doji” significa letteralmente “ubriacone”, così come del resto Kaido è il nome di un tipo di Shochu, un genere di distillato originario del Giappone, caratterizzato da una percentuale di alcool non normalmente superiore al 25%e ottenuto a partire dalla distillazione di orzo, patate dolci Kokanasengan e riso koji, ossia riso cotto inoculato con Aspergillus oryzae, un tipo di fungo o muffa diffuso in Giappone.

Quindi non c’è da sorprendersi se più in là nel corso di questa analisi tirerò in ballo gli alcolici come fonte di ispirazione per questo o quell’altro elemento.

Wano e il teatro Kabuki

Ora una delle cose che sto apprezzando tantissimo di Wano è il modo in cui Oda ci stia raccontando una storia rifacendosi fortemente ad una delle forme di rappresentazione teatrale tipiche giapponesi: il Teatro Kabuki

Nato nel 17esimo secolo, getta le proprie radici in tutta una serie di rappresentazioni basate sulla danza e realizzate dalla danzatrice Izumo no Okumi.

Okumi difatti ben presto si distinse per la carica erotica e sensuale intrisa nelle sue esibizioni, che non fece altro che renderla sempre più famosa e imitata.

Si dice tra l’altro che Izumo raccolse sotto la sua ala un gruppo di ragazze emarginate e che lei istruì nell’arte della recitazione e della danza sulle rive del fiume Kamo, che è considerato a tutti gli effetti il luogo a partire dal quale la forma Kabuki ebbe modo di diffondersi.

È pertanto evidente che esso raccolga in un’unica forma espressiva anche arti differenti: ecco perché il termine giapponese per esso è formato dai caratteri 歌 ka(canto),舞 bu (danza),伎 ki (abilità) .

Ed è proprio la musica, come se realmente stessimo assistendo ad una rappresentazione teatrale, che nel capitolo 909, nella forma di musica dello Shamisen, uno strumento musicale giapponese a tre corde, usato tipicamente come accompagnamento nel teatro Kabuki e Bunraku, decreta ufficialmente l’inizio della saga di Wano, regione che si presenta in tutta la sua grandezza agli occhi del lettore con l’apertura di un vero e proprio sipario.

Interessante poi sottolineare che per l’occasione, affinché tutto sia perfettamente in tema, la tipica onomatopea Dodon sia stata messa da parte da Oda e sostituita con un Beben, che ricorda proprio il suono dello shamisen.

Nel capitolo successivo poi, il 910, la ciurma di Cappello di Paglia arriva finalmente a Wano, grazie anche all’aiuto di un polpo abbastanza peculiare, intento ad esclamare, guarda un po’, un altro suono tipico del teatro Kabuki, lo “Yooooon”, seguito dall’altrettanto caratteristico “pon” prodotto dai tentacoli all’atto di colpire il suo capo, un po’  come se fosse uno dei tamburi a clessidra tsuzumi, usati nel teatro No e, in alcuni casi, nel Kabuki appunto.

In particolar modo, come del resto ci suggerisce il titolo del capitolo 924, intitolato “Ha”, cosa del resto esplicitata da un’effettiva divisione in atti della saga da parte dell’autore, la narrazione sembrerebbe star seguendo il principio Jo-ha-Kyu, ossia principio ritmico che trova spazio ad esempio nei vari tipi di drama giapponesi, come il Teatro Noh, quello Kabuki appunto e quello Bunraku (o Ningyo Joruri), secondo quanto scritto da Motokiyo Zeami, attore, drammaturgo giapponese e autore di saggi considerati i più antichi testi a noi noti sulla filosofia del teatro giapponese.

In uno di questi Sando (Tre vie), originalmente descrisse quale sarebbe dovuta essere la forma ideale della rappresentazione teatrale; questa sarebbe dovuta essere divisa in cinque parti o dan seguendo una sequenza di fase iniziale lenta (jo), costruzione lenta e graduale della tensione (ha) nella seconda, terza e quarta parte e, infine, ritorno ad una condizione di tranquillità nella quinta parte (kyu), a seguito del massimo climax avuto nel terzo dan.

Nel suo “Kakyo” viene sottolineato il come queste cinque parti dovessero essere parte (scusate la ripetizione) di un “programma giornaliero: la giornata del No (e difatti quanto scritto da Zeami riguardava inizialmente questo tipo di rappresentazione teatrale nello specifico, per poi essere esteso al Kabuki etc.)

Abbiamo pertanto che con “Kami mono” si ha da parte di una divinità permette di marcare la rottura con il quotidiano con un’opera di apparizione; “Shura mono” è incentrato sui guerrieri; “Katsura mono” ha una protagonista femminile (Hyori/Komurasaki?); “Zutsa mono” comprende il “Gendai mono” che propone una storia contemporanea e realistica, piuttosto che pregna di elementi divini e sovrannaturali e “Kyojo Mono” nel quale la protagonista, a causa della perdita di un amato o del figlio, cade vittima della follia.

Per concludere c’è l’”Oni Mono”, ossia il no dei demoni.

Come dicevamo prima, il terzo dan rappresenta il culmine “della composizione” e difatti, nello schema poc’anzi proposto, la terza parte è il nō delle donne che assume un forte valore tradizionale.

Come è giusto che sia, una volta raggiunto il momento di massima attenzione in qualcosa, è normale che successivamente questa cali, motivo per cui al Kazura mono segue il Zutsa mono, che parla di qualcosa di più quotidiano e quindi vicino allo spettatore: qualcosa per la quale non è richiesto un grande sforzo mentale e di attenzione.

La traduzione di Jo-Ha-Kyu sarebbe “Inizio, Climax e Rapida conclusione“. In sostanza qualsiasi azione deve cominciare lentamente, accelerare e terminare rapidamente. Cosa che, nel caso specifico della rappresentazione teatrale, riguarda tanto la rappresentazione nel suo complesso, tanto la stessa nel piccolo delle singole azioni degli attori che vi prendono parte.

In proposito Hiroshi Minami, anch’egli attore giapponese, ne “La sensibilità dell’estetica giapponese” aggiunge che “questo schema non impronta soltanto il modo di essere del racconto, ma anche il tempo psichico interiore, cioè pone al centro il fluire delle emozioni.” E come dicevamo prima si tratta di una vera e propria filosofia, che trova applicazione in campi altri rispetto a quello teatrale, come  nelle cerimonie del te, nelle arti marziali, nel Kendo etc.

Il Jo-Ha-Kyu è un ritmo continuo “tripartito”. Sempre secondo Minami infatti l’unico modo nel quale un uomo può avere percezione del tempo, o per meglio dire le “particelle” di tempo, è quello di interrompere il flusso e poi ricomporlo, passando dal tempo della natura a quello ricomposto dell’uomo conservato dalla sua memoria.

Andando ancora più a ritroso troviamo che questa filosofia getta le sue radici nel “Bugaku”, termine che si riferisce ad antiche danze facenti parte del più vasto repertorio gagaku, ossia l’antica musica di corte continentale.

In tal caso Jo-Ha-Kyu si riferiva a diverse partiture combinabili in modo differente per ottenere una melodia completa, senza che però per essere considerata tale fossero necessarie tutte e tre le parti.

“Il jo è una musica suonata mentre il danzatore sale sulla pedana e prende il suo posto. Il tutto con i saluti rituali. In questa sezione, il ritmo non è basato su una scissione in piccole unità ma su ampi intervalli delimitati dall’interruzione del taiko. Nello ha i danzatori iniziano a cambiare [il ritmo] prima molto lentamente, poi accelerando[…] la danza successiva designa la rapida fine.”

I pirati del signore delle Bestie

In termini gerarchici, al di sotto di Kaido troviamo quelli che che vengono chiamati Superstar. King, Queen e Jack sono tutti e tre classificati come tali, non è dato tuttavia sapere se il titolo di Superstar e quello di Calamità coincidano o se indichi un gruppo di individui di cui anche le calamità fanno parte.

Tuttavia, il termine originale è Okanban, che da una parte si riferisce ad una persona incaricata di riscaldare il sake, assicurandosi che raggiunga la giusta temperatura e che sia pronto al momento giusto, il tutto in occasione di feste ben specifiche. L’utensile principale utilizzato da un Okanban è il Shukanki, una scatola di legno rivestita di metallo e utilizzata per creare un bagno di acqua calda per le caraffe di Sake.

Dall’altra, invece, il termine si può tradurre letteralmente come “Grande insegna”, perché si riferisce ad attori di primo piano nell’ambito di un film o di una rappresentazione teatrale, proprio in virtù dell’usanza di scrivere i loro nomi su grandi cartelloni pubblicitari… da qui, si può benissimo riadattare il tutto in “Superstar”.

Più in basso nella gerarchia troviamo invece i caporioni, quelli che, un po’ come fatto in precedenza per le Superstar, potremmo semplicemente chiamare “Star”.

Anche in tal caso è però il termine originale ad aprirci le porte verso un “mondo tutto nuovo”: in tal caso Shin’uci, un termine che proviene dal mondo del Rakugo, una delle principali forme di rappresentazioni teatrali in Giappone, che cominciò ad essere apprezzato durante il periodo Edo dai mercanti più ricchi, permettendogli così di essere conosciuto anche tra i non nobili e quindi di diventare sempre più popolare.

L’uso del termine Rakugo sembrerebbe essere riconducibile per la prima volta all’anno 1787. Diffusosi maggiormente durante l’epoca Meiji, mentre in seguito,nel XX secolo in epoca Shôwa, è diventato di uso più popolare. Figura di spicco di tale rappresentazione è quella del Ragunoka, che ha il compito di raccontare al pubblico una storia.

Il termine Rakugo è difatti traducibile come “parole lasciate cadere

Su di un palco chiamato Koza, vestito con un Kimono, con un lembo di tessuto e con un apposito ventaglio, nella tipica posizione seiza, ossia seduto su di un cuscino con le gambe piegate, il Ragunoka, con l’ausilio di un microfono che può anche non essere presente, cattura l’attenzione del pubblico con un monologo, che fa pertanto da introduzione alla storia che successivamente andrà a raccontare.

A seconda della sua abilità può essere classificato con un rango differente:  si passa da quello più basso, ossia zenza, traducibile come esibizione di apertura, a futatsume, traducibile come “secondo”, fino ad arrivare al rango più altro, Shin’uci.

Lo Shin’uci è un Rakunoga con grandi abilità, tali da far si che gli artisti di grado inferiore si riferiscano a lui come maestro. Lo Shin’uci pertanto  non ha bisogno di esercitarsi tanto quanto futatsume ed è in grado di raccogliere sotto di se numerosi apprendisti.

Per quanto poi non sembrerebbe esserci un’effettiva connessione, per i nomi usati da Oda, possiamo supporre che l’equivalente dei Rakunoga di grado Futatsune e Zenza siano i Pleasures e i Waiters, i soldati semplici.

Tra le fila dei caporioni poi, c’è un gruppo di individui particolarmente forti: stiamo parlando dei Sei Saltatori o “Tobi Roppo“.

“Roppo” nel teatro Kabuki è il termine che identifica l’andamento o la corsa di un dato personaggio, caratterizzati da movimenti delle mani e dei piedi esagerate, ispirati a quelli compiuti dai Samurai in pubblico alla fine del 17esimo secolo; si tratta di una tecnica drammatica che in questo modo cerca di rappresentare anche lo stato d’animo del personaggio, come ad esempio uno stato di turbamento o di rabbia.

E in particolar modo Tobi Roppo (saltellare in sei direzioni) è la forma più drammatica di Roppo, nella quale gli attori saltano e volteggiano vigorosamente, caratteristica di una rappresentazione in particolare con protagonista la figura di Benkei: Kajincho, una delle più famose rappresentazioni del repertorio Kabuki moderno.

Ti potrebbe interessare anche...