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One Piece e l’importanza della narrazione

del pirata Penna Gialla

Qualche tempo fa abbiamo introdotto il concetto dei “dettagli che fanno discutere”, affermando che proprio quello può essere l’ingrediente segreto che ha permesso a One Piece di acquisire “ricchezza, fama e potere”. Ora, occorre approfondire per capirne meglio i meccanismi.

Piccolo ripasso: ogni elemento dell’opera di Oda concorre a creare delle discussioni. Ciò porta il lettore ad analizzare qualsiasi cosa, creando dei racconti assieme agli altri lettori che valorizzano e danno spessore a ciascuno di questi dettagli. È la caratteristica che ha dato vita alle innumerevoli pagine di commento dedicate a One Piece, cosa che non accade per nessun altro fumetto.

Ci troviamo di fronte ad un esempio di cultura partecipativa. Un gruppo di persone si raduna per creare del nuovo sapere, aggiungendo il proprio contributo e facendolo interagire con i punti di vista degli altri utenti. Può sembrare banale, ma è un modo di fare sempre più importante anche nei gruppi lavorativi, perché al giorno d’oggi si è capito che è solo grazie alla collaborazione e al “fare rete” che si riesce ad avanzare.

Ma che tipo di conoscenza potrà mai sviluppare un gruppo di semplici appassionati di un fumetto? Rielaborando narrativamente le vicende di Luffy e compagni, stiamo applicando ad un contesto concreto valori astratti e altrimenti difficilmente individuabili e stiamo riflettendo sulle tecniche dello storytelling.

Lo storytelling, che in apparenza può semplicemente sembrare un termine più attraente per definire il raccontare storie, è in verità un insieme di tecniche che consentono di formare ed educare. Narrare è un’azione tipicamente umana: senza narrazioni la nostra vita varrebbe poco, perché avremmo come unico obiettivo quello di sopravvivere e portare avanti la specie. Niente passioni, progetti, emozioni.

Facciamo un esempio interno a One Piece. Il cappello di Luffy è un semplice e malridotto copricapo di paglia, con un’utilità oggettiva pari a zero. Sono le emozioni che suscita nel gommoso pirata a renderlo importante: gli ricorda la fiducia che alcune persone ripongono in lui, lo fa sentire meno solo e gli dà uno scopo nella vita. Da vecchio “acchiappa polvere” quel cappello è diventato un simbolo grazie alle storie che porta con sé. Non per caso compare nel titolo dell’opera: è l’oggetto che ha dato il via a tutto.

I racconti danno un senso alle cose. Gol D Roger, sul patibolo, è stato un grande narratore, perché è riuscito a conferire importanza ad una pratica di natura poco nobile com’è la pirateria. Ciò che ha spinto molti a salpare è il senso di avventura e di libertà che, con le sue ultime parole, il celebre “re dei pirati” ha trasmesso.

Noi lettori di One Piece che commentiamo sui social network i dettagli dei vari capitoli stiamo facendo la stessa cosa: arricchiamo di significati una lettura che, in teoria, dovrebbe essenzialmente intrattenerci. E allora attraverso la saga di Whole Cake Island parliamo di utopia, durante le avventure di Dressrosa riflettiamo sulle apparenze, da quando assieme a Luffy siamo entrati nel Nuovo Mondo parliamo dell’importanza dell’informazione e dell’aiuto reciproco.

Nell’ambito educativo, lo storytelling permette riflessioni e attribuzioni di significato proprio a partire da contesti concreti, da storie. Raccontando qualcosa spinge il pubblico a mettersi in gioco e a dare un proprio contributo, partecipando attivamente ad una pratica importante. Noi possiamo anche leggere One Piece passivamente, accettando ciò che Oda ci dà in pasto, capitolo dopo capitolo. Eppure è la lettura attiva di cui abbiamo parlato che, in un certo senso, ci rende veramente protagonisti. Che la ciurma di Cappello di Paglia viva le sue avventure ed esplori i suoi mondi: a dare significati ci pensiamo noi.

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