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One Piece 1129: Oda basta Lego; The Big Otaku Theory; Nami, beast mode… on

del pirata Stefano 'Cenere' Potì

Don’t stop me now
Don’t stop me
‘Cause I’m having a good time…

– Queen, Don’t stop me now

Salve genti, nuova analisi, capitolo 1129: avrei preferito King di One Punch Man.

Il capitolo attuale mi fa sentire come un Sith.
Avverto una leggera tensione interiore. Da un lato, sono attratto dal lato oscuro, cercando il buono in ogni angolo della narrazione. Dall’altro, provo repulsione solo all’idea di comportarmi da creator senza onestà intellettuale.

Bisogna ammettere l’esistenza di episodi più transitivi, quasi fine a se stessi, ma non parliamo comunque di una catastrofe, intendiamoci.

In un solo capitolo capiamo chi abbiamo di fronte e il metodo del rapimento. Ma soprattutto si apre un singolare spiraglio narrativo: non tutti i giganti potrebbero simpatizzare con la ciurma, anzi. Finora davamo per scontato di essere giunti in terra amica, protetti dal governo e accolti come eroi. E invece i mugi, molto probabilmente, il rispetto dovranno guadagnarselo. Con l’acciaio, l’haki e… la loro proverbiale testardaggine. E questo sì che lo trovo stimolante. Ma andiamo per gradi.

E il momento dell’Elzeviro

Sotto il cielo di nessuno

La mini-avventura più bella finora, come… perché? Lasciate che vi spieghi.

Yamato si spinge a sud, infatti è arrivata ad Amigasa. Il sensei – tanto per cambiare – decide di mandare a farsi un riposino le regole dell’esposizione; pertanto, non abbiamo alcuna idea di cosa la figlia dell’Oni e Inuarashi abbiano pattuito. Possiamo presumere che la guerriera stia continuando le sue indagini e, arrivata al villaggio, assista all’allenamento di Tama. D’altronde parliamo di Oda, mica di Daphne du Maurier o Jim Thompson (maestri del thriller e della suspense).

Amigasa si distingue per i caratteristici alberi dalle fronde ondulate, un luogo in cui la cultura ninja permea ogni aspetto. Qui, un anno prima della partenza di Luffy, Ace incontrò Tama promettendole un futuro migliore; ed è lo stesso luogo in cui Luffy decise di stravolgere i piani di Kaido e Orochi. Il nome ‘Amigasa’ deriva tanto dai tradizionali cappelli di paglia intrecciata (編み笠), quanto da una specifica abitudine ninja.

Nelle rappresentazioni moderne della cultura pop, i ninja (e altri personaggi simili) vengono spesso mostrati con questo cappello per sottolineare il loro legame con l’inganno e l’abilità di agire nell’ombra. In particolare, indossare un Amigasa permetteva loro di muoversi in modo discreto tra villaggi e campi senza essere facilmente riconosciuti come guerrieri o assassini.

Un tropo inequivocabilmente distintivo, se solo consideriamo Sasuke, il piccolo ninja o Le tre bufere di Grosso guaio a Chinatown.

Il sensei prosegue nel suo intento di evidenziare, tra il serio e il faceto, la ritrovata unità nazionale di Wano. Prima della partenza, Yamato salutava gli esponenti della Yakuza all’interno della capitale dei Fiori; ancor prima, la missione era stata decisa con Momonosuke e ufficializzata con Kin’emon. Una volta oltre le mura, comprendiamo che le province di Wano godono della protezione dei Foderi, i quali fungono da Daimyo della casata Kozuki. Ora, a Shinobu è affidato l’addestramento di Tama. Le abbiamo viste in compagnia di Momonosuke nel capitolo 1115, durante le panoramiche-cornice al discorso di Vegapunk; in pratica, lo shogunato dà il suo pieno assenso alla nuova generazione ninja.

Rifletteteci un istante.

È come assaporare il gusto autentico dell’armonia. Shinobu, come sappiamo, difese Oden fino all’ultimo respiro. Insieme a Raizo, ha cancellato l’onta degli Oniwabanshū guidati da Fukurokuju. E Tama… è una Kurozumi. O l’avevamo dimenticato? Sì, la famiglia traditrice, perseguitata e infine responsabile del periodo più oscuro del paese di Wa. Quella che sembra una semplice vignetta umoristica racchiude uno dei messaggi più potenti di queste mini-avventure: Momonosuke decide di far addestrare nell’arte della guerra una piccola Kurozumi. Wano ha intrapreso un nuovo cammino; il ciclo di odio è definitivamente spezzato.

È il tipo di riflessione che aggiunge profondità alla narrazione, valorizzando dettagli che altrimenti potrebbero passare inosservati. Infatti, come vedremo, il capitolo 1129 ha molto da offrire. E come ogni grande storia che si rispetti, sotto il cielo di nessuno, esistono sempre quei personaggi folli che sconvolgono il cammino degli eroi. Persino ad Elbaph.

Signore e signori: cap. 1129…

Le regole del gioco

‘Ma l’eroe stesso è smarrito nella nebbia della verità’

– Eracle, Eschilo

Il vero problema qui è la prospettiva.
Il capitolo offre una serie di informazioni interessanti, anche se un po’ sparpagliate (cosa non poi così grave), ma il punto dolente sta nell’ottica con cui le interpretiamo. È da lì che i ragionamenti cominciano a diventare confusi.

Anzitutto, cortesemente, tenete a mente che il capitolo 1129 si basa su due cardini narrativi, e molto ben distinti tra loro.

Questo episodio presenta una serie di spunti criptici, specialmente nei discorsi di Road e in alcune frasi dei cittadini del Diorama. C’è una contraddizione apparente tra i loro ragionamenti, e questo rende il significato inizialmente difficile da decifrare. Ma se ci fermiamo un momento e ricordiamo il precedente titolo e il concetto di Role Playing di cui vi parlavo nel relativo articolo, allora l’arcano comincia a svelarsi:

  • Road parla in modo altisonante, utilizzando un gergo aulico per mantenere la sua aura divina. Potrebbe essere una sua idiosincrasia, non apprezzata da tutti i giganti, ma la mia è una riflessione aperta. Partiamo da questo presupposto: ogni parola che pronuncia in questo capitolo, è detta con la consapevolezza di essere ascoltato dalla popolazione del modellino, insomma, per non ‘rompere l’illusione’. Tuttavia, a un certo punto qualcosa accadrà che farà crollare la sua recita. Ci arriveremo gradualmente.
  • I cittadini, invece, mostrano due comportamenti distinti: quello che manifestano e dicono davanti al ‘Dio’ e quello che si sussurrano tra loro, lontano da occhi e orecchie.

Ecco cosa confonde, ma nella prospettiva che vi propongo direi che tutto ha senso. Già nella prima vignetta i vichinghi parlano come uno che finge di essere un Dio si aspetterebbe da loro, cercando di placare la ‘divinità’ e presagendo la fine perché il cielo ‘sta crollando’. In contralto comico abbiamo Road che sbaglia due frasi chiave nell’istante in cui è sotto l’occhio di tutti, chiamando il tempio stanza e i suoi servi animaletti da compagnia. Sembra di essere a teatro a guardare Il Servitore di Due Padroni di Carlo Goldoni.

I Mugiwara ne hanno ormai viste di tutti i colori e i loro commenti sul gigante risultano piuttosto generici. A parte un Luffy, lungimirante quanto un branzino, che non si preoccupa affatto di essere stato spogliato e imprigionato, bensì teme che il modellino venga danneggiato. In certi momenti è sempre utile ricordare Zoro a Water 7 con la celebre: ‘Costui è un idiota.’ Tutto regolare, insomma. Scherzi a parte si respira davvero l’aria delle prime saghe, con i Mugiwara che cercano di razionalizzare la situazione, mentre il loro capitano si comporta come un bambino in un Luna Park.

C’è da apprezzare anche la volontà di Oda di rappresentare con precisione ogni aspetto del mondo fantasy. La ciurma, infatti, ha ben chiaro il percorso: devono solo correre dall’altra parte della stanza. Si continua poi a evocare le atmosfere dei giochi da tavolo. Prendete, ad esempio, la vignetta in cui vediamo la stanza di Road e il Diorama dall’alto: quanti di voi hanno giocato a Hero Quest? Beh, vi assicuro che lo stile di quella scena richiama fedelmente l’estetica delle avventure nel Libro delle Imprese.

Qui finalmente riscontriamo il primo cardine narrativo principale. Road, con frasi che sembrano sempre più assurde, si rende conto che i pirati conoscono la mappa. Nonostante ciò, asserisce che le sue pedine non sono al corrente di tutti i segreti del luogo. Passiamo tutto al microscopio. Per prima cosa, è evidente che Road stia parlando a vanvera. Pur conoscendo Luffy di fama, non ha la più pallida idea né dell’estensione dei poteri del capitano né della forza complessiva della ciurma.

Si capisce che, a parte l’impressionante costume e la sua stazza, sotto sotto sia un frescone. Sta ancora urlando come un Dungeon Master, ma si ridicolizza con un trucchetto da fiera di paese. L’ultra-potenterrimo-splendente-traslucente Bastone del Sole… altro non è che un retino. Ho riso così tanto che mi faceva male la mascella.

Pronuncia poi la frase più insensata dall’inizio della saga. Road, infatti, sostiene che questo luogo sia un centro di detenzione per giganti. Qui dimostra di vivere nel suo mondo delle favole: prestate attenzione, perché successivamente ci saranno eventi che lo stupiranno talmente tanto da fargli perdere il controllo della messinscena. Per ora, però, è completamente convinto di avere a che fare con dei miseri umani impotenti. Ma davvero, quale logica c’è nel dire che si tratti di una prigione per impedire ai giganti di fuggire, se (come abbiamo visto nel capitolo precedente) nel serraglio non ci sono altro che esseri umani? Certo, il motociclista è più grande dei Mugiwara, ma come possono esserlo Yamato o Don Chinjao rispetto a loro. Entrambi sono solo enormi, ma non sono certo dei giganti. Eppure Road vuole mantenere le apparenze, mentre tutto ciò che lo circonda smentisce le sue convinzioni.

Devo dire che queste scene mi hanno fatto veramente ridere. I mugi sono terra terra, escludendo Nami e Robin… so’ gente dè borgata. Immaginate questo gigante che li insegue delirando in tono teatrale e artificioso. Sanji dice che è addirittura peggio dei samurai. Infatti a Wano utilizzano un linguaggio piuttosto formale e arcaico, che può sembrare aulico e poco comprensibile rispetto al linguaggio più comune che si usa nel resto del mondo di One Piece.
Il linguaggio dei samurai include spesso espressioni elaborate, onorificenze e una struttura formale, molto simile a quella che potremmo associare a storie di nobili classici.

Solo… che Road lo esaspera all’inverosimile.
Credendo di conferire un’aura elegante e sacrale, a me ricorda una certo attore…

‘ma non ne ha tal donde di siffatte ciuffole?’

Insomma, lui crede di essere Kenneth Branagh, invece sembra Raul Cremona che interpreta Ugo Foscolo. Ho riso da matti.

Nel pieno delle sue convinzioni, parla di intrappolare i giganti con un obiettivo preciso: non distruggere il mondo su cui regna come un Dio. La sua scelta di menzionare i giganti, mentre nel diorama ci sono persone comuni, non è casuale: vuole far credere alle sue pedine di esserlo (o semplicemente glielo impone, occhio). Solo una divinità, infatti, può ergersi imponente rispetto a loro. Un po’ come The Truman Show mescolato con Shingeki no Kyojin, per capirci.

Le sue convinzioni sono quelle di chi ha avuto a che fare con persone comuni, il suo retino (secondo lui) è un artefatto invincibile, in più usa abilmente il concetto di confine, dicendo alla ciurma che oltre un dato punto non potranno procedere, e questo amici miei, è un dato storico. I Vichinghi, pur credendo che la Terra fosse piatta, non erano certo timorosi di navigare. Anzi, erano tra i più esperti navigatori del loro tempo. Ma prima di divenire straordinari esploratori, la visione vichinga del mondo era profondamente legata alla mitologia norrena, che rappresentava la Terra come una pianura circondata da un mare impetuoso. Secondo le credenze dei popoli scandinavi, la terra era piatta e separata da un vasto oceano, che si pensava potesse nascondere insidie e pericoli. Questo ‘confine’ era spesso rappresentato come un margine sconosciuto, oltre il quale nulla era sicuro e l’ignoto si faceva minaccioso.

E che ruolo svolgeva Road nei Nuovi Pirati Guerrieri Giganti? Il navigatore. Che dire, il diavolo è nei dettagli.

Nella sequenza successiva, il Grande Iskat (non riesco a scriverlo senza ridere) è imprigionato. Notiamo due aspetti importanti: le dimensioni della ciurma e degli abitanti sono identiche, e questi ultimi reagiscono in modo coerente a questa realtà. Rivolgendosi deferentemente al gatto, chiedono perché degli sconosciuti lo stiano cavalcando. La situazione si sblocca, come sappiamo, grazie a Sanji e Zoro, per poi tornare nella comicità surreale.
In un momento di praticità, oltre che un chiaro omaggio a Benson, Road chiama il suo potente bastone la mia rete di metallo, ma evidentemente deluso, come un bambino a cui un’onda ha distrutto metà del castello di sabbia. Poi riprende tono pomposo e sicuro, avvertendo la ciurma della presenza di un oscuro guardiano, novello Cerbero degli Inferi, entità malvagia nella sua malvagità assoluta, l’unico, il gvande e tevvibile Dio Orecchiuto… con cui Luffy ha preparato la Cassœula.

Come faccio a rimanere serio, con Oda?

Ora la questione si fa interessante: la mia visione sullo stravolgimento del mito norreno era corretta. Ho sempre associato il coniglio a Heimdall (trovate tutte le argomentazioni nei due articoli precedenti, mes amis). Infatti, il nome del coniglio, Gurutobani, deriva da Gulltoppr, il cavallo di Heimdall. Beccato in pieno, anche perché, vista la funzione di guardiano che sottolinea lo stesso Road in capitolo, il quadro è cristallino. Heimdall è noto come il guardiano degli dèi, e la sua missione principale era quella di vegliare sul Bifröst, il ponte arcobaleno che collega il mondo degli dèi (Asgard) al mondo degli uomini (Midgard), e di proteggere l’ingresso di Asgard da eventuali minacce.

Gulltopp, che in norreno significa ‘testa dorata’ o ‘cavallo d’oro’, era un cavallo altrettanto straordinario. Qui invece, il coniglio di straordinario aveva solo la bruttezza.

Come vi anticipo da settimane, il sensei continua a utilizzare l’elemento mitologico al servizio della sua narrativa, il che ci mette in guardia su come interpretare gli eventi. Questa scena, in particolare, sottolinea magnificamente il primo cardine narrativo che vi menzionavo: le persone reagiscono come sudditi devoti di una divinità. Non soffermiamoci troppo sul dettaglio che il coniglio sia stato cotto per “cause sconosciute” (Luffy, gioia di nonna, non lascia mai niente nel piatto), ma è interessante notare come siano proprio loro a delineare i confini dell’illusione. Sono loro a dire che il cielo si è spezzato e che stanno vivendo un giorno maledetto.

Come avrete notato lo sto sottolineando più volte, perché ora possiamo parlare per partito preso, abbiamo le informazioni necessarie, ma fino a questo punto avevamo la certezza matematica che le persone fossero convinte della realtà fittizia in cui vivono. Ma così non è, non quando il master interromper la metanarrazione.

Non quando l’opera stessa riflette sulla propria natura, facendo emergere la consapevolezza che si sta narrando una finzione.

Grandeur Otaku

Sono stato io a fare questo?’

– Steve Urkel

Ah, la contraddizione; quella fessura nell’edificio della menzogna che lascia passare la luce della verità.

La reazione di Road è stata inaspettata per me, come nel film The Lego Movie, Lord Business (doppiato da Will Ferrell, ma che meraviglia!) è un tiranno che cerca di controllare l’universo Lego imponendo regole rigide, e chiunque si ribelli è visto come una minaccia. Quando vede come la creatività e la ribellione portano nuova vita alla sua creazione, si riscopre entusiasta e felice del caos che rompe i suoi schemi rigidi. In questo caso, il ‘dio’ creatore si rende conto che le regole che aveva imposto erano limitanti e si apre a nuove possibilità.

Vi ricorda qualcosa?

E’ praticamente identico, e sappiamo anche quanto il sensei ami i film di animazione. Road, letteralmente, comprende che la regola non è la fine, ma un punto di partenza. E la ribellione non è distruzione, ma creazione nella sua forma più pura.

Fa ridere, ma il gigante sta vivendo una crisi esistenziale, amareggiato dal mondo al punto da crearne uno in cui nulla potrà deluderlo. Ed è qui che, pur mantenendo il suo costume, rompe lui stesso l’illusione. Oda a questo punto non si fa più scrupoli a mostrarci la realtà. Road, cedendo alla gioia dell’imprevisto, realizza che la sua dimensione perfetta, incapace di deluderlo… non avrebbe mai potuto sorprenderlo. Parla di un’avventura senza trama, e in ogni avventura che si rispetti, oltre agli eroi devono esserci degli antagonisti. Qualcosa che i cittadini spaventati non potevano offrire, almeno fino all’arrivo dei nostri saltimbanchi preferiti.

Qualunque cosa sia successa al gigante, fino a questo punto continuavo a chiedermi perché gli venisse data tanta importanza. È evidente che abbia subito una qualche forma di disillusione. Diciamo, per fare un parallelo piuttosto forte, che come gli alcolisti usi qualcosa per fuggire dalla realtà. Sottolineando il concetto di antagonisti, è chiaro che si vede come il giusto, la causa legittima, la parte lesa. Il punto cruciale emerge dalla sua affermazione riguardo al capitano, Hajrudin: Road dice esplicitamente che, sebbene quest’ultimo abbia riconosciuto Luffy come leader, lui no, e vuole vedere di cosa sia capace prima di deciderlo. Il cuore del culto di Elbaph è basato sull’onore e sul rispetto, codici assoluti e inalterabili. Forse, alcune vecchie questioni riemergono, forse legate a quanto accadde a Jorul per mano di Lin Lin, anche se all’epoca Road era appena nato. Tratterò questo aspetto nel paragrafo successivo.

Questa ci sarà come sempre la Fatal, con il doppiaggio live del testo accuratamente tradotto e adattato dal giapponese, teorie, analisi e congetture di gruppo in pieno stile Bike, vi aspettiamo alle 21.00!

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Dicevo quindi di non conoscere tutti i risvolti, ma devo dire che inizialmente detestavo cordialmente il personaggio, per poi invece sviluppare altri ragionamenti. In fondo, Road sta cercando un’emozione umana, una reazione vera e propria, anche se mascherata da giochi di potere. Il suo pathos di ‘commozione’ di fronte alla lotta dei protagonisti è, paradossalmente, ciò che rivela la sua debolezza. Non è l’eroe invincibile, ma colui che si nutre della finzione per sentirsi potente. È tragico, perché la sua grandeur non è affatto altro che una maschera vuota.

L’arrivo dei Cappello di Paglia, con la loro spontaneità e il loro caos, rappresenta proprio l’imprevisto (e il brivido) che Road non era mai riuscito ad avere. La sua perfezione, il suo castello di carta, è talmente rigido da non poter contenere la bellezza dell’imprevisto, quell’elemento fondamentale che rende ogni avventura, ogni storia, interessante e viva.

Ecco perché lo vediamo in preda a una comica crisi mistica.

Qui il castello di carta crolla definitivamente. Come avevo supposto la settimana scorsa, i cittadini stanno facendo role playing. Sono costretti a partecipare, altrimenti il ragazzino che comanda tutto li spazza via con un semplice gesto. Lo scopriamo tramite Muninn; non avrei immaginato che sarebbe stato attraverso il corvo, ma avevo scritto che le persone venivano prese a caso dal mare e preparate ad hoc in versione norrena. A meno che le regole non siano più sottili, il che apre a due possibilità:

  • Sono tutti consapevoli della pantomima, vivono nel modo che gli è stato detto, fanno buon viso a cattivo gioco.
  • Solo alcuni, presumibilmente i primi, conoscono la verità e sono istruiti da Road a mantenere l’illusione per chi si risveglia nel diorama. Questo rende praticamente autentica tutta la faccenda. Infatti, nel capitolo 1128, si dice che alcuni sono andati al tempio, forse in cerca di risposte, ma i guardiani li hanno eliminati.

Secondo la logica, la realtà dovrebbe essere la prima ipotesi, dato che vediamo i cittadini semplicemente analizzare la situazione, rendendosi conto che il ‘dio’ è completamente assorto dai Mugi. Decidono quindi di passarsi la voce per fuggire dallo specchio rotto, il che conferma che qualcuno sa bene dove si trova una possibile via di uscita. Ovviamente, la ciurma irrompe da tutt’altra parte.
Avevamo forse dubbi?

Al netto di tutte le possibili variabili, Road è un otaku fatto e finito. Lo dico senza alcuna accezione negativa, naturalmente, perché il gigante è immerso nella contemplazione della trama, usando persino termini giapponesi per descrivere l’esperienza di leggere un episodio incredibile di un’opera che ami: praticamente, siamo noi, appassionati di fumetti e anime. Solo che… a un certo punto, inizia a parlare di se stesso. Si riferisce al nichilismo (ve lo dicevo che è un esistenzialista), e il confine tra lui e la ciurma si fa labile. Parla di fallimenti amari e vuota disperazione, convinto che prove e delusioni siano l’epicentro dello sviluppo di un personaggio. Del percorso dell’eroe.

Che si riferisca ai Mugi o a se stesso, è esattamente la stessa cosa, perché sia i pirati che il gigante agiscono in modo speculare: si ribellano a un destino che non vogliono accettare.

E arriviamo al suffisso Taso, ossia, il secondo cardine narrativo di cui vi accennavo. Molto usato nei contesti di cultura otaku o tra fan di anime/manga per riferirsi in modo affettuoso e simpatico a personaggi o a celebrità legate a quel mondo. Per esempio, si potrebbe aggiungere ‘-taso’ al nome di una idol o di un personaggio animato preferito per esprimere adorazione in un modo affettuoso e leggero.

Oda ha fatto con Road ciò che sensei Miura realizzava con Puck in Berserk. Quando Puck rompeva la quarta parete durante scene in puro stile shonen o seinen, si rivolgeva al lettore con frasi come: ‘Ehi, ma queste cose esistono solo nei film fantasy o nei manga’. Questo avveniva in un universo dark medievale, privo di qualsiasi elemento simile (leggete Berserk, vecchi cuori!).

Chopper dice: ‘Cos’è un taso?‘. Giusto per chiarire. In quel momento, Road rivela di conoscerli e, pur con parole sprezzanti verso quelli che considera miseri esseri umani, a mio avviso, decide di metterli alla prova. La rivalsa del gigante non era rivolta contro la ciurma, ma contro l’umanità in generale. Il corvo li ha presi per caso, quindi non erano il suo obiettivo specifico. Questo porta a due punti cruciali: Usopp e Nami.

Il cecchino finalmente mostra un po’ di grinta e sfodera una tecnica classica che, stavolta, scatena un piccolo fungo nucleare. Ci sono due aspetti da notare. Primo, l’esilarante menefreghismo di Oda verso le leggi della balistica: il colpo è orizzontale, il danno al vetro segue la stessa traiettoria, ma l’esplosione viene disegnata verticalmente. Quasi come se Oda stesse dicendo: ‘Scusate, ma a lezione di fisica disegnavo manga‘. Non c’è più nulla di cui stupirsi, insomma. Secondo, per quanto la grinta ci sia, la scena rimane comunque didascalica. Non può essere certo questo il suo momento decisivo, figuriamoci.

Nami è ultraterrena.

Se mi leggete da un po’, saprete sicuramente che definisco Nami come la bussola morale della ciurma. Il personaggio che, meglio di tutti, si è emancipato delle proprie catene mentali e da un passato a dir poco tetro.
Il rari momenti in cui usa la forza bruta, sono un’esplosione di furia che trascende la semplice dinamica del combattimento. E avviene solo quando vede determinate azioni, o sente determinati termini, in genere rivolti verso chi è indifeso.
Sono come detonatori, che innescano un’esplosione incontrollabile nella navigatrice.

Nami è un personaggio costruito su valori come l’amicizia e la lealtà.
Questi principi non sono solo linee guida per lei, ma piuttosto il suo credo esistenziale, perché conosce come pochi l’oscurità della solitudine. Per questo motivo, assistere ad azioni particolarmente grette la colpisce profondamente, toccando la parte più vulnerabile del suo animo.
In quel momento la razionalità cede il passo all’istinto, e il potere del fulmine tramite Zeus, diventa il simbolo di una rabbia rivolta a un mondo che cerca di ripetere le stesse azioni ingiustificabili.

Che si tratti di Vivi, O-Tama o Kamie la sirena, il tema è sempre lo stesso: l’amicizia. Un legame che per Nami rappresenta la panacea e la redenzione dalla solitudine che ha sofferto nel momento più buio della sua vita.

Una risposta visceralmente emotiva. Ma non questa volta.

In una serie di vignette splendide, Oda ci regala una Nami esilarante che chiede, con una nonchalance apparente, se esistano responsabili per le… catastrofi naturali. Usopp risponde ovviamente di no, quindi subito dopo la piratessa mostra la sua collera, quasi come se fosse un’ira divina. Infatti, non ha peli sulla lingua: è furiosa per tutto ciò che questo degenerato sta facendo passare alla ciurma.

In una scena che richiama la celebre battuta su un coltello, la gatta ladra sembra sentenziare:

‘Quello non è il potere di un Dio… QUESTO è il potere di un Dio

– Nami Crocodile Dundee

E con queste parole scatena la sua furia su quel pirla di Road. Il bello non è solo la crescita impressionante delle abilità di Nami, ma anche la vignetta che trasuda epicità da ogni tratto. Carica l’attacco in silenzio, senza il bisogno di vantarsi come farebbero Zoro, Sanji o Luffy. Alla fine, sorride serafica, ammirando il suo Clima Tact senza bisogno di ulteriori spiegazioni.

Nei rari momenti in cui la rabbia travolge la navigatrice, Nami non è più una semplice piratessa. È una forza primordiale, alimentata dal bisogno di difendere ciò che gli è più caro, ivi compresa la serenità della ciurma.
Semplicemente immensa.

In tutto questo, alla fine si può provare perfino pietà per Road.

Il gigante è, per certi versi, l’epitome di una mente scossa dal fallimento, che trova sollievo nel rifugio della creazione. Ma non si può ignorare quanto questo fallimento sia radicato nella delusione, specialmente nei confronti del suo capitano, Hajrudin. L’umore di Road non è solo un gioco di potere, ma una riflessione più profonda sul mondo che gli ha voltato le spalle, lasciandolo amareggiato e disilluso?

Eppure, l’illusione stessa è destinata a crollare, perché la perfezione, per quanto desiderata, è in ultima analisi una prigione.

Cosa può essere successo con Hajrudin?

Vecchie ferite, nuovi conflitti

Un vero guerriero non è colui che combatte per la propria gloria, ma colui che combatte per il bene del suo popolo

– detto Vichingo

Ora godiamo di un quadro più completo, Road è aggiornatissimo, non brancola nel buio.

Sa chi sono i Mugi, sa che la ciurma dei pirati giganti li aveva cercati. Eppure, non ha riconosciuto l’estensione dei poteri dei membri, né ha visto il rischio di mettere in gabbia l’incarnazione del suo Dio. In quel momento, l’unica spiegazione razionale è una sola: ha rifiutato completamente l’idea.

Infatti, appena vede di cosa sono capaci, rimane sbigottito. Nel flashback, il gigante è contrariato dal comportamento di Hajrudin e non accetta che un essere umano sia stato scelto come leader. È come se fosse diviso: mentre tiene i Mugi tra le mani, si rivolge già a Nami con il suffisso Taso, segno di un’ammirazione nascosta. Ma non riesce ad accettare che siano gli esseri umani a comandare i giganti.

Road ha sempre seguito il suo capitano, sia come navigatore che come mercenario per Buggy. Resta da capire se si sia staccato dalla ciurma dei Nuovi Guerrieri. Non è forse una dinamica che abbiamo già visto in One Piece? Arlong e Jinbe, cresciuti come amici nel distretto degli uomini-pesce, hanno fatto parte della stessa ciurma, ma Arlong non perdonò mai a Jinbe di aver servito come guardia imperiale e di essere entrato nella Flotta dei 7. Senza dimenticare che Tiger fondò i Pirati del Sole per combattere gli umani. Un possibile parallelo emerge chiaramente.

Tra il capitolo 866 e 867, la storia dei giganti subisce una svolta drastica. Jorul e Jarul furono i primi comandanti della ciurma dei Pirati Guerrieri Giganti, figure leggendarie, simboli indiscussi di onore e rispetto. In quegli eventi, conosciamo bene la crisi alimentare di Lin Lin, la distruzione di Elbaph e ciò che la bambina fece a Jorul. Big Mom, pur mostrando segni di gigantismo è umana, come tutti i bambini di Madre Carmel. I giganti accolsero con affetto la combriccola, per motivi ormai noti. Messi ai ceppi sul patibolo, fu proprio lei a fermare la Marina, spinta da ragioni meschine, invocando la fine del ciclo di odio. Mentre i marine gridavano che non potevano risparmiare chi aveva portato tanta distruzione, lei rispose:

‘Se ucciderete questi uomini, i guerrieri di Elbaph imbracceranno le armi, giurando vendetta contro l’umanità’

E venne trasferita nel Warland, come garante del patto tra uomini e giganti. Le radici dei legami tra Elbaph e l’umanità affondano nella guerra. Per questo, Saul considerava la gente dii quel paese dei selvaggi. E così, Charlotte Lin Lin, un’umana, ha letteralmente distrutto quei legami.

Prima dell’esecuzione a sangue freddo di Yorul, vediamo lui e Yarul essere estremamente gentili con lei e con tutti i bambini di Madre Carmel. In una scena, un Karsee spensierato ricorda a Charlotte di prepararsi per i festeggiamenti del solstizio. Questo, in un contesto in cui già si parlava di lei per aver ucciso un orso e malmenato un gigante (all’epoca, per errore). Dopo la prima crisi alimentare, Yarul, seppur in lacrime, decise di giustiziarla ma fu sempre Madre Carmel a intervenire, chiedendo clemenza.

Ecco il punto nodale.

Il prezzo della grazia per Lin Lin è che gli umani vadano via da Elbaph.

Il cartiglio in quelle scene dice che, in ogni parte del mondo, tutti i giganti appresero la notizia e furono mostrati in preda alla collera. Certo, i rapporti con Carmel rimasero ottimi, ma questo vale per tutti i giganti? In quelle scene, vediamo un giovanissimo Hajrudin, disperato, chiedere a gran voce l’esecuzione di Lin Lin, gridando queste parole:

‘Quanto in basso è caduto l’orgoglio di Elbaph?’

Sono le stesse identiche parole di Road. Che, all’epoca dei fatti era un bambino, certo, ma poi cresciuto nello stesso villaggio di Hajrudin, condividendo sogni e ideologie, e forse… alimentando il disprezzo per la razza umana, come accadeva nel distretto degli uomini-pesce. Chi, infatti, partecipò al torneo di Dressrosa, urlando ai quattro venti la supremazia della propria razza, massacrando impietosamente chi gli si opponeva? Almeno fino all’arrivo di Luffy. Chi finì nel gioco di potere, diventando un giocattolo? E chi poi sollevò Usopp, affinché tutti i prigionieri lo vedessero, dichiarandolo il loro salvatore, e giurò fedeltà a Luffy, per pura gratitudine?

Sempre Hajrudin.

Tutto questo ragionamento, comprese le divergenze di vedute tra Saul ed Elbaph, rese più meno serie dalla collaborazione tra il gigante marine e Hajrudin per recuperare i libri di Ohara, evidenzia un punto fondamentale. E’ possibile che non tutti i giganti abbiano digerito quanto accaduto a Elbaph, e Yarul stesso disse che il destino di un guerriero è deciso dal suo trapasso. Quindi, è stato infranto il loro credo più sacro. In One Piece può accadere di tutto, e se fosse trapelata anche solo una minima notizia (Saul è un Marine, ma decisamente anti-governo) che Carmel fosse in realtà una doppiogiochista, ne uscirebbe un dramma più grande di Le Supplici di Eschilo.

Anche senza aver scoperto Madre Carmel, il concetto di base risulta plausibile: l’arrivo degli esseri umani = fine della quiete e inizio della sciagura è già sufficiente. Hajrudin e Road sono cresciuti insieme, condividendo gli stessi ideali, oppure, magari separati, ma una fazione di giganti ha trasmesso alle generazioni future che molti esseri umani sono miserabili e che un fiero guerriero di Elbaph non dovrà mai piegarsi a loro. In fondo, Hajrudin, a differenza del navigatore, ha toccato con mano l’onore, il coraggio e la fierezza dei Mugi, facendo le dovute differenze, come Doflamingo.

Non so quanto di vero ci sia in questo, ma credo sia un ragionamento plausibile. Forse, non tutti i giganti condividono la stessa visione dei Mugi, soprattutto quelli che hanno combattuto al loro fianco. Sarà molto interessante vedere come si evolverà questa dinamica.

Vi consiglio il video del Re, un’analisi diretta come un fuso, che intreccia balloon e cultura, sia nordica che giapponese. Che ve lo dico a fare? A voi!

E se foste interessati ad altre mie analisi su altri manga, vi invito a visitare il mio canale…

https://www.youtube.com/@Cenere_SG

Medea

Spero di avervi intrattenuti, spinti a ragionare e riflettere.

Eppure oggi sono io che devo ringraziare voi, vecchi cuori, perché pensavo che sarei stato più critico verso questo capitolo.
Invece, riflettendo mentre stendevo l’articolo, mi sono accorto di quanto mi sia effettivamente divertito a leggerlo.
La fretta, come si dice, è una pessima consigliera.
E’ vero, nella parte introduttiva di saga, magari non traspare immediatamente una riflessione simile. Ma quando il materiale è gestito con tale aplomb e mostrato in modo così efficace dai protagonisti, non ha importanza.

Insomma, la vera sfida è rimanere lucidi, mantenendo uno sguardo critico. Ecco il dilemma che accompagna i capitoli più ‘transitivi’.
Come Medea, non possiamo permettere che il desiderio bruciante diventi una cecità selettiva.
Se ci perdiamo nei nostri preconcetti, rischiamo di trascurare la ricchezza della narrazione.

Godiamoci il viaggio, genti

‘I’m a shooting star leaping through the sky like a tiger
Defying the laws of gravity
I’m a racing car, passing by like Lady Godiva
I’m gonna go, go, go, there’s no stopping me’

– Queen, Don’t stop me now

Cenere

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